Nobody's Place ~ Laxy's Portfolio

eXchange episodio 1 - Double Project's Aftermath

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Laxirya
view post Posted on 31/7/2014, 19:28




Nel bagno di un piccolo rifugio immerso nel nulla e isolato dal resto della civiltà, Keith Colfer guardava tranquillo il suo riflesso in uno specchio incrostato e sporco. La parte inferiore del viso era ricoperta di schiuma bianca e l’uomo sentiva il fresco accarezzargli la pelle. Una sensazione che aveva provato per l'ultima volta moltissimi anni prima. I capelli e la barba formavano una matassa unta e aggrovigliata che gli arrivava fino all’altezza dell’addome.
Era il momento di darci un taglio. Doveva tagliare i ponti col passato e tutto ciò che lo rappresentava. Aveva già bruciato gli abiti logori che per tanto tempo aveva dovuto indossare e ora era giunto il momento di pensare al suo volto. Era il suo modo per decretare non solo la fine di un periodo scuro della sua vita, ma anche l'inizio di quello nuovo che, sperava, sarebbe stato migliore.
Passò la lama sulle guance, sul mento e sui baffi, poi si risciacquò. La schiuma candida era tinta qua e là di macchie vermiglie. Keith individuò il piccolo taglio appena sotto l’orecchio destro. Non sapeva se la colpa per quella piccola ferita fosse da delegare della lametta scadente o dalla poca destrezza che possedeva nell'utilizzo di quell’oggetto, dettata soprattutto da anni di privazioni, ma, a dire il vero, poco gli importava. Vi passò l’indice sopra, quasi distrattamente. Per un istante la sua pelle assunse un innaturale colore blu elettrico. L'istante dopo il taglio non era più lì: l'unica traccia rimasta era una sottile scia di sangue di colore blu sul dito.
Poi prese le forbici. Ciocca per ciocca vide i suoi capelli cadere sul pavimento.
Quando tornò a specchiarsi si trovò davanti una persona nuova. Non sembrava più un reietto abbandonato a sé stesso. Sembrava ringiovanito di una decina di anni, con quelle guance lisce e quella zazzera spettinata di capelli biondi. Ricordava quasi l'immagine del ragazzetto per bene che era stato per tanti anni.
Con rinnovata determinazione guardò fisso negli occhi eterocromi della sua immagine specchiata.
Non si sarebbe fatto riprendere. Mai più.
E mai più sarebbe tornato in quella cella umida e puzzolente nelle profondità del Conclave.
 
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Laxirya
view post Posted on 11/8/2014, 17:39




Suoni di clarinetto leggermente striduli riempivano l’aria nei corridoi del dormitorio del Conclave. Saranno anche state le dieci del mattino, ma Arthur Van Dongen sapeva che quello era senza dubbio il momento più propizio per esercitarsi con strumenti con cui non aveva ancora abbastanza famigliarità. Tutti lavoravano, il martedì mattina. Tutti tranne lui, che aveva deciso appositamente quello come giorno libero, così da potersene stare in pace in camera sua a suonare senza disturbare nessuno. Forse solo Olivia lo avrebbe sentito, ma quella rossa pazza che lasciava la sua stanza solo se obbligata era l’ultimo dei suoi pensieri.
Avvicinò le labbra al bocchino del clarinetto e soffiò leggermente. Ne uscì un suono fiacco e l’esorcista aggrottò un sopracciglio. Erano le sue prime esperienze con uno strumento a fiato, ma erano già passati comunque alcuni mesi dalla prima prova e sperava che i risultati fossero un po’ più rilevanti.
Sulla sua scrivania, il cellulare vibrò e lo schermo si illuminò di luce rossa.
“Rosso è il colore delle cose importanti” aveva chiarito Olivia quando glie l’aveva affidato. E doveva davvero essere importante, se avevano deciso di disturbarlo e affidarli una missione durante il suo giorno di riposo.
Appoggiò con attenzione lo strumento nella sua custodia, ripromettendosi di pulirlo accuratamente non appena avesse finito di sbrigare le faccende lavorative, si avvicinò velocemente al tavolo e infine agguantò il telefono.
In bella vista sul display lo aspettava una mail proveniente da un mittente sconosciuto. Strano. Decisamente strano.
Solo la Direzione aveva i privilegi necessari a mandargli un messaggio ad alta priorità -o almeno questo era ciò che sapeva grazie alle spiegazioni della solita rossa pazza-, quindi dovevano essere per forza loro. Eppure perché avevano deciso di nascondere il mittente?
Il messaggio era chiaro e diretto.
“Esci dal tuo appartamento, Arthur.”
Alla sola lettura, la spiegazione si fece spazio tra i suoi pensieri confusi. Certo, non poteva che essere lei. Si rimproverò per non aver pensato prima a quell’eventualità. Era talmente ovvio…
Senza perdere altro tempo, indossò un paio di scarpe e uscì nel corridoio. Dalla porta a fianco, appena socchiusa, uscivano una massa informe di capelli rossi e una mano che lo invitava ad entrare. Arthur accondiscese senza nemmeno pensarci.
Non appena fu entrato, il ragazzo incrociò le braccia, guardandola con sguardo seccato.
«Allora, Olivia, cos’hai da dirmi di così importante e segretissimo da portarti addirittura a scrivere il mio nome nel messaggio senza storpiarlo orribilmente?»
«Cose moooolto importanti, Arturello!» rispose l’informatica, marcando per bene il tono sul soprannome che tanto le piaceva.
Arthur sbuffò. Ora sì che riconosceva la solita Olivia, con i suoi modi e il suo vocabolario.
«Per esempio?» chiese lui, sperando di riuscire a tagliare corto con la conversazione e poter tornare presto alle sue esercitazioni musicali. Avrebbe potuto leggere nei suoi pensieri tutto ciò di cui aveva bisogno, ma evitò di farlo. La mente di quella tizia era qualcosa che nemmeno lui era mai riuscito a decifrare. Non si era mai sforzato in quel senso, a dire il vero, ma sospettava che una volta intrapresa un’impresa del genere, non ne sarebbe uscito vivo. E, onestamente, non ci teneva abbastanza da rischiare di diventare pazzo per una cosa del genere.
«Per esempio questo.» rispose Holly , appena prima di premere un pulsante del piccolo telecomando che teneva in mano.
Nel centro della stanza si materializzò uno schermo enorme. Il monitor mostrava una quantità incredibile di file appartenenti al database del Conclave. La rossa premette un altro pulsante sul suo telecomando, in modo da accendere una lucina laser. La utilizzò per puntare qualcosa sullo schermo. Era un archivio di file e l’etichetta mostrava il nome “Double Project”.
«Sai cos’è questo?» chiese infine, quasi retoricamente.
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia. Era un nome piuttosto anonimo, poteva essere qualsiasi cosa.
«Probabilmente no, non lo sai.» disse lei, prima che Arthur potesse rispondere in qualsiasi altro modo. «Ma lui sa chi sei tu. Oserei dire che, presumibilmente, lo sa anche meglio di te.»
Le parole della rossa arrivarono del tutto inaspettate. Le sopracciglia si aggrottarono ancora di più e Arthur dovette trattenere l’istinto momentaneo di indietreggiare.
«Cosa intendi dire con questo?»
«Esattamente quello che ho detto.» rispose secca lei. Sotto la sua sempre presente aria strafottente, era diventata seria e Arthur, quando se ne accorse, rimase stupito. Non capitava spesso. Anzi, a dire il vero non capitava quasi mai. «Mi sono accorta dell'anomalia perché tra questi documenti il tuo nome ha un numero spropositato di occorrenze. Bizzarro per qualcosa di cui non dovresti nemmeno conoscere l’esistenza, non è vero?»
Senza distogliere lo sguardo dalla strana cartella presente sullo schermo, allungò una mano dietro di sé, alla ricerca di una sedia su cui sedersi. Non appena la trovò, si accomodò senza indugi e incrociò le dita davanti al volto. Si sarebbe dovuto trattenere dalla vicina un altro po', lo sentiva.
«È un archivio davvero interessante.» continuò, dondolando sulla pianta dei piedi, come se tentasse di trattenere l’eccitazione che aveva in corpo. Sapeva benissimo che era una cosa seria, ipotizzava Arthur, ma Holly era fatta così: non poteva resistere all’impulso che la spingeva a ficcarsi negli affari altrui. Tra sé e sé l'aveva sempre paragonata ad un gigantesco e a tratti molesto database di informazioni e gossip che non vedeva l'ora di espandersi. «Contiene diverse cose, tra cui un fantastico video che non vedo l’ora di mostrarti.»
«Vai avanti»
La ragazza sospirò, sconsolata per la poca soddisfazione che l'amico le stava dando, ma alla fine dovette arrendersi.
«Va bene. Iniziamo.»
Premette ancora qualche pulsante sul telecomando e lo schermo si annerì completamente.
Poi, finalmente, il video cominciò.
 
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Laxirya
view post Posted on 11/8/2014, 19:30




Il primo fotogramma indicava alcune coordinate: luogo e data. Il Conclave era sempre stato molto preciso sul protocollo da usare per archiviare i file di tipo audiovisivo. “Victorian, Londra, Orfanotrofio Robinson” seguito da una serie di numeri e lettere che indicavano un giorno passato da ormai quindici anni.
Il filmato sembrava registrato con una sorta di telecamera di sorveglianza. Era molto rudimentale a giudicare dalla qualità dell'immagine, ma non c'era da stupirsi: a Victorian la tecnologia non era molto sviluppata e coloro che provenivano da altre dimensioni e potevano permettersi di utilizzarla dovevano tenerla ben nascosta per non alterare la stabilità della dimensione stessa.
L’obiettivo mise a fuoco un ragazzino. Biondo, capelli lunghi e spettinati, lineamenti ancora morbidi che però mostravano già segni di maturazione. Dimostrava all'incirca dodici anni.
Arthur ebbe subito l’impressione di averlo già visto da qualche parte, ma la qualità dell’immagine era troppo scarsa per poterne essere certo.
Camminava veloce, il ragazzino. Deciso, guardava davanti a sé, cercando di non badare ai suoi inseguitori, un gruppo di monelli di età variabile tra i cinque e i quindici anni. Ma non ci riusciva, non ce la faceva a ignorarli. Stringeva forte i pugni, quasi a volersi lacerare i palmi con le unghie e il suo volto non mostrava né calma né pazienza.
Gli inseguitori urlavano con tutta la loro voce, con tono estremamente canzonatorio. Lo sbeffeggiavano, lo insultavano, continuavano a gridare senza sosta. «Figlio del demonio» lo chiamavano. «Quell’orribile occhio rosso dimostra che sei un mostro dell’inferno! Nessuno vuole avere a che fare con qualcuno come te!» continuavano.
Senza più un briciolo di autocontrollo, il biondino si era voltato e aveva sferrato un pugno possente al primo dei suoi inseguitori.
Tutti gli spettatori avevano trattenuto il respiro per un attimo, immobilizzati al loro posto come piccole statue.
Poi un bambino dai capelli neri, uno tra i più piccoli, aveva preso la parola, rompendo il religioso silenzio che si era appena creato.
«Oh, hai fatto del male a Jimmy… le istruttrici non saranno affatto contente quando verranno a saperlo».
La sua voce era atona, glaciale.
Jimmy si stava già rialzando quando il ragazzino biondo si decise a rispondere.
«Non è colpa mia» ringhiava, con una rabbia tale da fargli tremare la voce. «È colpa tua e di Jimmy e di tutti gli altri. Mi avete insultato. Siete voi che mi avete istigato, io mi sono solo difeso! »
Il bambino dai capelli scuri aveva fatto spallucce, poi gli aveva lanciato un nuovo sguardo ostile coi suoi occhi freddi, color del ghiaccio.
«Certamente, ma questo le istruttrici non lo sanno.» Una smorfia divertita, a tratti quasi spaventosa, era apparsa sul suo volto. «E poi guardati: tu sei solo, mentre noi siamo tanti. Chi mai potrebbe credere alla storia di un solo stupido quando un intero gruppo di persone può testimoniargli contro.»
Senza dire una parola di più, il biondo era scappato più veloce che aveva potuto, ma non prima di aver lanciato un’occhiata velenosa a ognuno di loro.
Un coro di risa ed esultanze si era sollevato.
All'interno della stanza di Holly, entrambi gli esorcisti riuscirono a udire distintamente un “Sei un grande Arthur, hai dato una bella lezione a quella femminuccia!”. E tutti i sospetti che l'albino aveva congetturato trovarono, per sua sfortuna, un fondamento.
 
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Laxirya
view post Posted on 17/8/2014, 20:56




L’esorcista tremava. Per tutti quegli anni, lo aveva dimenticato, ma il ricordo stava tornando a farsi spazio nella mente. Ricordava quel bambino orribilmente sadico e calcolatore. Ricordava alcune scene, che nella sua mente prendevano una forma simile a fotografie sfocate. L’orfanotrofio, gli altri bambini, anche quello con gli occhi strani che tutti avevano deriso...
«Vincent Knight.»
Olivia Freud parlò, come se fosse lei quella in grado di leggere nel pensiero.
«L’avevi riconosciuto, vero? Ora è il rampollo di una nobile famiglia aristocratica di Victorian, amato come un figlio dalla donna che lo ha adottato e adorato da tutti i servitori.» La rossa sorrise. «A volte il karma fa proprio il suo dovere.»
Iniziò a camminare per la stanza, con passo leggero avanti e indietro, dando libero sfogo a tutte le sue teorie.
«E c’è un’altra cosa, un segreto che tutti i pezzi grossi del Conclave conoscono, ma che fanno finta di non sapere.» Gli rivolse uno sguardo indagatore, come per chiedergli se per caso avesse una vaga idea di ciò di cui stava parlando.
Arthur rimase impassibile.
«Vincent Knight è il Pianista Assassino. È chiaro come il sole, ogni indizio porta a lui. Ma allora perché nessuno qui al Conclave si decide a chiudere un criminale così pericoloso in una di quelle belle celle che abbiamo qui?»
L’informatica sospirò, non aveva ancora spiegato all'amico alcuni elementi fondamentali per comprendere la situazione. Per questo decise di andare semplicemente avanti col suo discorso, rimandando le risposte a più tardi.
«Esiste almeno un’altra decina di filmati all’interno dell'archivio e sono tutti simili a quello che ti ho fatto vedere. Mostrano le interazioni tra lui e il bambino dagli occhi ghiaccio.» Olivia gli lanciò un altro sguardo, ma stavolta non si aspettò nessuna risposta. «Cioè tu.»
Sentirselo dire da qualcun altro gli fece salire un brivido lungo la schiena, come se i suoi sospetti non fossero stati già abbastanza fondati nella sua mente.
«Oh sì, Arturello, e il fatto che entrambi abbiate passato l'infanzia in quell'orfanotrofio non è l'unica cosa che ti accomuna a Vincent Knight.»
L'albino era curioso, ma non si attentò a chiedere nulla. Le notizie, ora certezze, che gli erano appena giunte gli rendevano difficile il tentare di ragionare lucidamente e non era una cosa che gli succedeva spesso.
«Probabilmente ti stai chiedendo cosa ti ha portato ad essere quello che sei adesso. Voglio dire, il tuo aspetto fisico è parzialmente cambiato, mentre per altri versi è rimasto lo stesso.» si bloccò un momento per poter mettere le mani avanti. «E prima che tu ti arrabbi credendo che io abbia fatto una velata battuta sulla tua altezza, lasciami specificare che questa non è una battuta. Ne ho le prove, ma ti spiegherò meglio più tardi.»
Arthur non si era mosso nemmeno di un millimetro. La faccenda era più che seria. Voleva evitare di perdere tempo prezioso in inezie e giungere direttamente al sodo.
«Ebbene, come puoi immaginare, ciò che sei adesso deriva soprattutto dall'incidente che precede il tuo avvento al Conclave e che ti ha fatto perdere la memoria...»
Istintivamente il ragazzo portò una mano alla testa e cercò la cicatrice. Dunque era lei la maledetta chiave di tutto?
«Non è stato un incidente» chiese, con la voce tremante. «Vero?»
Più che una domanda era un'inutile richiesta di una conferma che sapeva sarebbe arrivata. Era da tempo che lo sospettava, ma nulla gli aveva mai dato modo né di confermare né di confutare quella teoria. Ora il mondo gli stava cadendo addosso. Tutto ciò che aveva sempre dato per scontato, era solo una semplice menzogna creata per controllarlo.
«Come hanno fatto?»
Holly inarcò un sopracciglio, confusa. Arthur si rese conto di non essere stato abbastanza chiaro.
«Come hanno fatto a tenermi nascosto tutto questo?» ripeté l'albino, elevando involontariamente il tono della voce e alzandosi in piedi nella foga. «Insomma... sto iniziando solo ora a controllare come si deve il mio potere mentale così da poter leggere nelle menti degli altri solo quando voglio io. È impensabile che abbia tralasciato qualcosa di così importante ad ogni mio incontro con i dottori, il capo e tutti gli altri agenti che ne erano al corrente.»
L'altra scosse la testa, non sapendo cosa dire.
«Purtroppo non ho risposte a questo tuo quesito. Potrebbe essere qualunque cosa, a partire da un device che neutralizza la tua innocence o una particolare tecnica di meditazione che permette di nascondere i pensieri... Le possibilità sono infinite e io non ho i dati necessari per capire quale sia quella giusta.»
Sbollito l'impeto d'incredulità e rabbia che lo aveva mosso qualche momento prima, Arthur tornò a sedersi. Era ancora scosso, ma tentò di darsi contegno e ascoltare ciò che l'amica aveva da dirgli. Lei gli mostrò un sorriso di circostanza, poi decise di passare al punto successivo.
«Ciò che è davvero incredibile è che il tuo... “incidente”» continuò, calcando bene il tono sull'ultima parola ed enfatizzando ancora di più facendo il gesto delle virgolette con le dita. «Beh, non è altro che una minuscola parte di questo grande progetto chiamato Double Project.»
 
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Laxirya
view post Posted on 19/8/2014, 19:18




«Prima di procedere con le spiegazioni, voglio che tu provi a riconoscere il soggetto di questa foto.»
Con un paio di click sul suo telecomando, Olivia Freud fece apparire il volto di una persona sul grande schermo. Sembrava un uomo di circa trentacinque anni. La barba e i capelli color del grano erano fin troppo lunghi e lerci e sembravano non vedere l'ombra di una spazzola da secoli. A pensarci bene questo lo faceva sembrare decisamente più vecchio di quanto non facessero intendere i lineamenti, che erano quelli di un venticinquenne. Indossava l'uniforme tipica dei detenuti del Conclave e aveva gli occhi di due colori diversi.
Arthur aveva ormai smesso di contare tutte le persone che conosceva con quella particolare stranezza fisica. Dopo aver conosciuto Veritas, Vanitas, Friedrich, Mihirie e tutti gli altri, aveva iniziato a considerarsi suo malgrado una sorta calamita per eterocromi.
Questi occhi in particolare erano uno giallo e uno rosso.
«Assomiglia vagamente a Vincent Knight» ammise subito, ricordando di che colore fossero le iridi dell'uomo. «Ma ci sono particolari che non mi convincono. Knight, come hai detto tu prima, è certamente un rinomato criminale, ma non è mai stato incarcerato qui al Conclave. Inoltre essendo un nobile di buona famiglia, dubito fortemente che si possa essere ridotto in quel pessimo stato.»
Holly gli sorrise, soddisfatta delle sue deduzioni.
«Infatti non è Vincent Knight» asserì. «Quest'uomo è Keith Colfer. Ti dice qualcosa, questo nome?»
«Certo.» rispose lui, leggermente confuso. «Ne ho sentito parlare parecchio, è quasi una leggenda qui al Conclave: si dice che quasi dieci anni fa, solo un paio d'anni dopo essere stato arruolato come esorcista, impazzì completamente e ammazzò a sangue freddo una coppia di colleghi.» Si fermò un attimo e la sua espressione si fece concentrata, mentre tentava di ricordare altri dettagli della storia. «Mi pare che fosse anche molto legato con uno dei due. In ogni caso, fu imprigionato in una delle celle di isolamento dove vengono messi i criminali più pericolosi. Non si è mosso di lì per anni, fino a quando, esattamente una settimana fa, non è evaso. Non si hanno sue notizie da quel giorno.»
«La vedo preparato sull'argomento, signor Van Dongen» si complimentò lei, ridacchiando. «Bene, quindi ora sai anche il motivo per cui mi sono ritrovata in mano questi documenti. Per diletto, ho deciso di fare una simpatica ricerchina su di lui e sulla sua evasione. Ed ecco qui cosa mi trovo in mano. Mi sai dire allora, visto che sai così tanto di lui, come mai non l'hai riconosciuto quando ti ho mostrato la foto?»
«Beh, non ho mai avuto occasione di incontrarlo quando faceva ancora parte degli esorcisti e da quando è stato imprigionato solo pochi eletti hanno avuto modo di andare a fargli visita. Non che io ne abbia mai sentito il bisogno, a dire il vero.»
«Precisamente» Olivia annuì ancora una volta, iniziando a camminare avanti e indietro per la stanza mentre spiegava. «Il conclave ha fatto particolare attenzione a non farvi mai incontrare. Volevano che per te che conoscevi bene il Vincent dell'orfanotrofio -anche se poi ne hai perso la memoria-, l'unico Vincent Knight fosse quello che vive a Victorian la sua vita da nobile e assassino. È per lo stesso motivo che, secondo una mia teoria, i pezzi grossi non hanno mai dato l'ordine di incarcerare il Pianista Assassino per i suoi crimini: due persone così simili nella stessa prigione, con gli stessi occhi e la stessa conformazione del viso, avrebbero fatto decisamente pensare, avrebbero fatto nascere le voci più disparate e, prima o poi, qualcuno avrebbe investigato e trovato questi file. Ma purtroppo per loro queste contromisure non sono bastate contro la sottoscritta.»
Mentre parlava, sul viso di Holly era comparso un sorriso pienamente compiaciuto. Nel frattempo, piegando la testa di lato, Arthur porse il suo ennesimo quesito.
«Prima hai detto una cosa che non mi quadra. Cosa intendevi dire con “l'unico Vincent Knight”? Sono gemelli per caso?»
La rossa lo interruppe brutalmente.
«Seriamente Arthur, ancora non ti è chiara la faccenda? No, non sono gemelli, sono molto di più. Keith Colfer è un clone di Vincent Knight nel quale è stata impiantata l'innocence.» Facendo uso del telecomando, Holly rimpiazzò l'enorme foto di Colfer con una tabella. La tabella mostrava diversi parametri quali altezza, peso e altre particolarità fisiche e psichiche messe in relazione tra l'originale e il clone. Anche a con uno sguardo poco approfondito era chiaro che i valori fossero molto simili tra loro. «Questo è lo scopo principale del Double Project: creare cloni e tentare di renderli compatibili all'innocence in modo da creare nuovi esorcisti. Vincent Knight e il suo clone Keith Colfer sono stati il primo esperimento riuscito.»
Il cuore di Arthur iniziò ad accelerare i battiti. Un nuovo dubbio, molto peggiore di quello con cui aveva avuto a che fare qualche minuto prima, gli si era insinuato nel cervello e, come il precedente, non ne voleva sapere di andarsene. Alla luce dei fatti sembrava l'unica cosa in grado di spiegare la situazione. L'unica spiegazione per giustificare la sua presenza in quell'archivio. Le prove a favore di quella teoria erano decisamente di più rispetto quelle a sfavore e...
«Allora Arturello, ti si è accesa la lampadina?» chiese Holly, mostrando ancora una volta una prova della sua empatia.
Il ragazzo abbassò lo sguardo, annuendo leggermente.
«Forza, dillo tu, allora» lo incitò.
Lui, però, aveva perso l'uso delle parole. Non sapeva come dirlo. Aveva paura a parlarne, come se il fatto di non esprimerlo ad alta voce rendesse il tutto meno reale. Scosse la testa, sconfortato.
«Sei un clone anche tu, Arthur.» diretta, senza i suoi soliti giri di parole e le sue stupidaggini. «Il secondo, nonché ultimo, esemplare creato grazie al Double Project prima che il progetto fosse bruscamente interrotto.»
Arthur si morse il labbro e strinse i pugni, ma tutto ciò non bastò a far sbollire la rabbia che provava. Prese dalle mani di Holly il telecomando e iniziò a cercare tra i dati, mentre lei alzava gli occhi al cielo, un po' per la reazione esagerata dell'amico, un po' per il fatto che stesse compiendo la ricerca in modo estremamente inefficiente.
Finalmente l'esorcista trovò quello che stava cercando: era una tabella, simile a quella che mostrava i parametri di Knight e Colfer, ma in questo caso i due soggetti erano Arthur Van Dongen Primo e Arthur Van Dongen Secondo.
Arthur Van Dongen Primo, diversamente da quanto accaduto a Vincent Knight e Keith Colfer, appariva però estremamente diverso dal suo clone, come se fossero davvero due persone diverse. I lineamenti e la corporatura erano più maturi: era più alto, più muscoloso e sul viso era possibile intravedere un po' di barba. Il suo aspetto, diversamente da quello del suo doppione, era quello di un normale ventenne, insomma. I capelli erano folti e corvini, gli occhi color ghiaccio e una grossa cicatrice gli sfregiava il lato sinistro del volto.
«Il fatto è che, a differenza di quel che è successo a Keith Colfer, la tua innocence è stata impiantata a stretto contatto col tuo cervello e questo ha causato un'alterazione notevole del tuo processo di crescita e di alcune delle tue caratteristiche fisiche. Pensa che non hanno neanche preso la precauzione di cambiarti nome...»
Arthur si sentì all'improvviso tremendamente stanco. Non ce la faceva più ad ascoltare spiegazioni che, per quanto veritiere, gli sembravano ancora così assurde. C'era una sola cosa che desiderava sapere in quel momento.
«Dove si trova ora quest'uomo?» chiese atono. «Desidero incontrarlo. Voglio sapere cosa sarei stato se tutto questo non fosse mai successo.»
«Non credo sia una buona idea, Arthurello.»
«È un mio diritto.»
Holly si ritrovò gli occhi vermigli addosso, carichi di ostinazione.
«Non posso farlo, Art. Innanzi tutto perché non ho la più pallida idea di dove si nasconda. Nemmeno Scottland Yard lo sa. Pare che agisca nell'ombra di una banda di malavitosi che opera a Victorian, ma nessuno ha mai capito dove si trovi la loro base. Ma se anche lo sapessi, non credo che te lo direi. Finiresti solo per farti ammazzare senza motivo. Quindi non chiedermi nemmeno di provare a fare una delle mie ricerche, non lo farei neanche se mi giurassi di pulire ogni singolo componente dei miei computer con la lingua.»
La fermezza con cui Holly si era espressa fu in grado di far desistere l'albino.
«Capisco, come vuoi.» Il ragazzo si alzò e rimise la sedia dove l'aveva trovata. «C'è qualcos'altro che dovrei sapere?»
«No» rispose lei, mentre iniziava a chiudere distrattamente i file aperti durante la lunga conversazione. «O almeno, io non ho trovato nient'altro.»
«Bene, allora me ne vado»
Mentre si avviava verso la porta, l'hacker tornò a parlare.
«Sei sicuro di stare bene?»
«No, non sto bene.» ringhiò lui, spazientito. «Ma è tempo che io stia un po' da solo.»
«Vuoi che chiami qualcuno che ti faccia un po' di compagnia? Che ne so, Alexis, Veritas...?»
«Non ti azzardare a parlare di questa faccenda con nessuno.» le disse, ringhiandole quasi addosso dalla rabbia. «Nessuno, nemmeno con Veritas, intesi? Posso cavarmela da solo e non ho intenzione di farla preoccupare senza motivo.»
Holly alzò le spalle, a indicare la sua resa.
«Come vuoi. In ogni caso per ogni evenienza, io sono qui.»
«Come se non lo sapessi.»
Lui le rivolse un sorrisetto di circostanza.
«E ricordati che anche Veritas sarà sicuramente disponibile se...»
Ma Arthur aveva già lasciato la stanza ed era tornato nel suo appartamento.
Olivia, così, dopo averlo visto chiudere la porta dietro di sé, aveva tentato di tornare ai suoi compiti. Non riuscì, però, a concentrarsi per quasi un'ora, tanta era la preoccupazione che provava per la sorte del caro amico.
 
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Laxirya
view post Posted on 22/9/2014, 17:36




Una cappa di fitta nebbia grigia ricopriva come sempre il dedalo composto dalle strette e malfamate viuzze della periferia Londinese. L'uomo guardava fuori dalla finestra, svogliato, respirando a pieni polmoni l'aria sporca di carbone della vicinissima zona industriale.
La porta dietro di lui si spalancò con un colpo secco, all'improvviso. La figura armata e smilza di Jim Brown si era fatta avanti senza troppi complimenti. Sembrava contento, probabilmente era portatore di buone notizie.
«Capo, ce l'abbiamo fatta, ci siamo riusciti!»
L'uomo, il capo con cui Jim aveva parlato, estrasse però la revolver dalla fondina che teneva legata alla cintura e sparò un colpo che mancò i piedi del nuovo arrivato di pochi centimetri.
«Quante volte devo dirti di bussare prima di entrare?» ringhiò. «Sai benissimo quanto mi dia fastidio questa tua brutta abitudine».
Jim indietreggiò lentamente, ammettendo silenziosamente le proprie colpe.
«In ogni caso siediti, voglio sapere ogni dettaglio di questo fortunato successo».
Il capo si sedette comodamente dalla sua parte del tavolo, mentre il sottoposto faceva lo stesso.
«Beh, ecco...» cominciò quest'ultimo, ancora agitato, tanto da avere la fronte imperlata da alcune gocce di sudore. Non si era ancora del tutto ripreso dopo lo spavento causato dal colpo di pistola a lui indirizzato, nonostante minacciare le persone a colpi d'arma da fuoco fosse una di quelle brutte consuetudini del capo alle quali si sarebbe già dovuto abituare da tempo. «Quei portali funzionano! Barnaby c'è entrato ed è riuscito anche a tornare indietro. Dice di aver visto posti incredibili: carrozze volanti con il motore, costruzioni di altezze incredibili, persone acconciate in modo stravagante, animali mai visti prima...»
«Questo vuol dire che grazie a questi portali potremo ampliare il nostro raggio d'azione nonché il nostro mercato, dico bene?» chiese l'altro, perso nelle sue congetture.
«Ma c'è dell'altro!» continuò lo scagnozzo. «Alcuni di questi portali collegano zone da noi controllate ad altre zone di Londra in cui è più difficile muoversi, come per esempio il centro della città, nonché zone vicinissime alla torre di Londra e alla casa del parlamento.»
Un sorrisetto apparve sul volto del capo. Era davvero incredibile come quegli strani fenomeni paranormali fossero improvvisamente comparsi nel bel mezzo della periferia londinese. Nella sua periferia londinese, oltretutto. Non sapeva se fossero presenti anche nei territori controllati da altri gruppi malavitosi, ma ne dubitava: le spie che aveva sparso qua e là non gli avevano ancora riportato informazioni interessanti in quel senso.
«Tutto ciò è davvero molto interessante, Jim.» sentenziò, incrociando le dita davanti al volto. «Utilizzando bene questi portali potremmo addirittura riuscire ad avere l'intera Londra nelle nostre mani. Non pensi sia fantastico, Jim?»
«Assolutamente, capo, assolutamente.»
«Bene, allora vai a dire agli altri di continuare a fare qualche viaggio avanti e indietro. Voglio scoprire ogni minimo segreto di questi “portali”, in particolare tutti i benefici che posso ottenere utilizzandoli.»
Lo sgherro si alzò e annuì al suo boss.
«Certamente, lo farò subito.» affermò, prima di aprire la porta per uscire.
Nel momento appena prima di chiudersi la porta alle spalle, però, si bloccò e parlò di nuovo.
«Capo, e se questi portali ci portassero guai? Insomma, non conosciamo la loro natura e tanto meno il loro preciso funzionamento, potrebbero portare gravi imprevisti alla nostra società...»
L'uomo nella stanza scoppiò a ridere a crepapelle.
«Ma per chi mi hai preso, Jimmy, per uno sprovveduto? Nessun evento inaspettato può fermare i miei piani. Nessun imprevisto può abbattere il grande Arthur Van Dongen.»
 
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