«Prima di procedere con le spiegazioni, voglio che tu provi a riconoscere il soggetto di questa foto.»
Con un paio di click sul suo telecomando, Olivia Freud fece apparire il volto di una persona sul grande schermo. Sembrava un uomo di circa trentacinque anni. La barba e i capelli color del grano erano fin troppo lunghi e lerci e sembravano non vedere l'ombra di una spazzola da secoli. A pensarci bene questo lo faceva sembrare decisamente più vecchio di quanto non facessero intendere i lineamenti, che erano quelli di un venticinquenne. Indossava l'uniforme tipica dei detenuti del Conclave e aveva gli occhi di due colori diversi.
Arthur aveva ormai smesso di contare tutte le persone che conosceva con quella particolare stranezza fisica. Dopo aver conosciuto Veritas, Vanitas, Friedrich, Mihirie e tutti gli altri, aveva iniziato a considerarsi suo malgrado una sorta calamita per eterocromi.
Questi occhi in particolare erano uno giallo e uno rosso.
«Assomiglia vagamente a Vincent Knight» ammise subito, ricordando di che colore fossero le iridi dell'uomo. «Ma ci sono particolari che non mi convincono. Knight, come hai detto tu prima, è certamente un rinomato criminale, ma non è mai stato incarcerato qui al Conclave. Inoltre essendo un nobile di buona famiglia, dubito fortemente che si possa essere ridotto in quel pessimo stato.»
Holly gli sorrise, soddisfatta delle sue deduzioni.
«Infatti non è Vincent Knight» asserì. «Quest'uomo è Keith Colfer. Ti dice qualcosa, questo nome?»
«Certo.» rispose lui, leggermente confuso. «Ne ho sentito parlare parecchio, è quasi una leggenda qui al Conclave: si dice che quasi dieci anni fa, solo un paio d'anni dopo essere stato arruolato come esorcista, impazzì completamente e ammazzò a sangue freddo una coppia di colleghi.» Si fermò un attimo e la sua espressione si fece concentrata, mentre tentava di ricordare altri dettagli della storia. «Mi pare che fosse anche molto legato con uno dei due. In ogni caso, fu imprigionato in una delle celle di isolamento dove vengono messi i criminali più pericolosi. Non si è mosso di lì per anni, fino a quando, esattamente una settimana fa, non è evaso. Non si hanno sue notizie da quel giorno.»
«La vedo preparato sull'argomento, signor Van Dongen» si complimentò lei, ridacchiando. «Bene, quindi ora sai anche il motivo per cui mi sono ritrovata in mano questi documenti. Per diletto, ho deciso di fare una simpatica ricerchina su di lui e sulla sua evasione. Ed ecco qui cosa mi trovo in mano. Mi sai dire allora, visto che sai così tanto di lui, come mai non l'hai riconosciuto quando ti ho mostrato la foto?»
«Beh, non ho mai avuto occasione di incontrarlo quando faceva ancora parte degli esorcisti e da quando è stato imprigionato solo pochi eletti hanno avuto modo di andare a fargli visita. Non che io ne abbia mai sentito il bisogno, a dire il vero.»
«Precisamente» Olivia annuì ancora una volta, iniziando a camminare avanti e indietro per la stanza mentre spiegava. «Il conclave ha fatto particolare attenzione a non farvi mai incontrare. Volevano che per te che conoscevi bene il Vincent dell'orfanotrofio -anche se poi ne hai perso la memoria-, l'unico Vincent Knight fosse quello che vive a Victorian la sua vita da nobile e assassino. È per lo stesso motivo che, secondo una mia teoria, i pezzi grossi non hanno mai dato l'ordine di incarcerare il Pianista Assassino per i suoi crimini: due persone così simili nella stessa prigione, con gli stessi occhi e la stessa conformazione del viso, avrebbero fatto decisamente pensare, avrebbero fatto nascere le voci più disparate e, prima o poi, qualcuno avrebbe investigato e trovato questi file. Ma purtroppo per loro queste contromisure non sono bastate contro la sottoscritta.»
Mentre parlava, sul viso di Holly era comparso un sorriso pienamente compiaciuto. Nel frattempo, piegando la testa di lato, Arthur porse il suo ennesimo quesito.
«Prima hai detto una cosa che non mi quadra. Cosa intendevi dire con “l'unico Vincent Knight”? Sono gemelli per caso?»
La rossa lo interruppe brutalmente.
«Seriamente Arthur, ancora non ti è chiara la faccenda? No, non sono gemelli, sono molto di più. Keith Colfer è un clone di Vincent Knight nel quale è stata impiantata l'innocence.» Facendo uso del telecomando, Holly rimpiazzò l'enorme foto di Colfer con una tabella. La tabella mostrava diversi parametri quali altezza, peso e altre particolarità fisiche e psichiche messe in relazione tra l'originale e il clone. Anche a con uno sguardo poco approfondito era chiaro che i valori fossero molto simili tra loro. «Questo è lo scopo principale del Double Project: creare cloni e tentare di renderli compatibili all'innocence in modo da creare nuovi esorcisti. Vincent Knight e il suo clone Keith Colfer sono stati il primo esperimento riuscito.»
Il cuore di Arthur iniziò ad accelerare i battiti. Un nuovo dubbio, molto peggiore di quello con cui aveva avuto a che fare qualche minuto prima, gli si era insinuato nel cervello e, come il precedente, non ne voleva sapere di andarsene. Alla luce dei fatti sembrava l'unica cosa in grado di spiegare la situazione. L'unica spiegazione per giustificare la sua presenza in quell'archivio. Le prove a favore di quella teoria erano decisamente di più rispetto quelle a sfavore e...
«Allora Arturello, ti si è accesa la lampadina?» chiese Holly, mostrando ancora una volta una prova della sua empatia.
Il ragazzo abbassò lo sguardo, annuendo leggermente.
«Forza, dillo tu, allora» lo incitò.
Lui, però, aveva perso l'uso delle parole. Non sapeva come dirlo. Aveva paura a parlarne, come se il fatto di non esprimerlo ad alta voce rendesse il tutto meno reale. Scosse la testa, sconfortato.
«Sei un clone anche tu, Arthur.» diretta, senza i suoi soliti giri di parole e le sue stupidaggini. «Il secondo, nonché ultimo, esemplare creato grazie al Double Project prima che il progetto fosse bruscamente interrotto.»
Arthur si morse il labbro e strinse i pugni, ma tutto ciò non bastò a far sbollire la rabbia che provava. Prese dalle mani di Holly il telecomando e iniziò a cercare tra i dati, mentre lei alzava gli occhi al cielo, un po' per la reazione esagerata dell'amico, un po' per il fatto che stesse compiendo la ricerca in modo estremamente inefficiente.
Finalmente l'esorcista trovò quello che stava cercando: era una tabella, simile a quella che mostrava i parametri di Knight e Colfer, ma in questo caso i due soggetti erano Arthur Van Dongen Primo e Arthur Van Dongen Secondo.
Arthur Van Dongen Primo, diversamente da quanto accaduto a Vincent Knight e Keith Colfer, appariva però estremamente diverso dal suo clone, come se fossero davvero due persone diverse. I lineamenti e la corporatura erano più maturi: era più alto, più muscoloso e sul viso era possibile intravedere un po' di barba. Il suo aspetto, diversamente da quello del suo doppione, era quello di un normale ventenne, insomma. I capelli erano folti e corvini, gli occhi color ghiaccio e una grossa cicatrice gli sfregiava il lato sinistro del volto.
«Il fatto è che, a differenza di quel che è successo a Keith Colfer, la tua innocence è stata impiantata a stretto contatto col tuo cervello e questo ha causato un'alterazione notevole del tuo processo di crescita e di alcune delle tue caratteristiche fisiche. Pensa che non hanno neanche preso la precauzione di cambiarti nome...»
Arthur si sentì all'improvviso tremendamente stanco. Non ce la faceva più ad ascoltare spiegazioni che, per quanto veritiere, gli sembravano ancora così assurde. C'era una sola cosa che desiderava sapere in quel momento.
«Dove si trova ora quest'uomo?» chiese atono. «Desidero incontrarlo. Voglio sapere cosa sarei stato se tutto questo non fosse mai successo.»
«Non credo sia una buona idea, Arthurello.»
«È un mio diritto.»
Holly si ritrovò gli occhi vermigli addosso, carichi di ostinazione.
«Non posso farlo, Art. Innanzi tutto perché non ho la più pallida idea di dove si nasconda. Nemmeno Scottland Yard lo sa. Pare che agisca nell'ombra di una banda di malavitosi che opera a Victorian, ma nessuno ha mai capito dove si trovi la loro base. Ma se anche lo sapessi, non credo che te lo direi. Finiresti solo per farti ammazzare senza motivo. Quindi non chiedermi nemmeno di provare a fare una delle mie ricerche, non lo farei neanche se mi giurassi di pulire ogni singolo componente dei miei computer con la lingua.»
La fermezza con cui Holly si era espressa fu in grado di far desistere l'albino.
«Capisco, come vuoi.» Il ragazzo si alzò e rimise la sedia dove l'aveva trovata. «C'è qualcos'altro che dovrei sapere?»
«No» rispose lei, mentre iniziava a chiudere distrattamente i file aperti durante la lunga conversazione. «O almeno, io non ho trovato nient'altro.»
«Bene, allora me ne vado»
Mentre si avviava verso la porta, l'hacker tornò a parlare.
«Sei sicuro di stare bene?»
«No, non sto bene.» ringhiò lui, spazientito. «Ma è tempo che io stia un po' da solo.»
«Vuoi che chiami qualcuno che ti faccia un po' di compagnia? Che ne so, Alexis, Veritas...?»
«Non ti azzardare a parlare di questa faccenda con nessuno.» le disse, ringhiandole quasi addosso dalla rabbia. «Nessuno, nemmeno con Veritas, intesi? Posso cavarmela da solo e non ho intenzione di farla preoccupare senza motivo.»
Holly alzò le spalle, a indicare la sua resa.
«Come vuoi. In ogni caso per ogni evenienza, io sono qui.»
«Come se non lo sapessi.»
Lui le rivolse un sorrisetto di circostanza.
«E ricordati che anche Veritas sarà sicuramente disponibile se...»
Ma Arthur aveva già lasciato la stanza ed era tornato nel suo appartamento.
Olivia, così, dopo averlo visto chiudere la porta dietro di sé, aveva tentato di tornare ai suoi compiti. Non riuscì, però, a concentrarsi per quasi un'ora, tanta era la preoccupazione che provava per la sorte del caro amico.